Tra il 2008 e il 2018 i lavoratori part time in Italia sono aumentati di un milione di unità: se prima della crisi, infatti, i lavoratori a tempo parziale erano in tutto 3,3 milioni, 10 anni dopo se ne sono contati 4,3 milioni. In tutto i lavoratori part time rappresentano quindi il 18,5% dei lavoratori, percentuale che assume un valore ricco di significati se si parte dal presupposto che nel 64% dei casi si tratta di part time involontario, e quindi di impiegati che preferirebbero lavorare a tempo pieno.
Guardando agli ultimi mesi, la fetta di lavoratori a tempo parziale è aumentata ulteriormente: nel terzo trimestre del 2019 si è infatti arrivati al 18,77% di lavoratori part time, su una popolazione impiegata di 23,48 milioni di lavoratori. Un altro dato interessante è quello che fissa la differenza tra il part time involontario prima e dopo la crisi: ad oggi più di 6 lavoratori parziali su 10 ha un contratto part time non desiderato, mentre nel 2008 questa percentuale si fissava al 40,2%.
La situazione peggiore, per quanto riguarda proprio il part time involontario, si conosce nel Sud Italia, dove nel terzo trimestre del 2019 questo fenomeno ha coinvolto il 79% dei lavoratori a tempo parziale. In altre parole, quindi, 4 lavoratori a orario ridotto su 5 desidererebbero passare al tempo pieno.
Vista l’incidenza di questo fenomeno nel nostro Paese, vediamo nel dettaglio come si strutturano i contratti part time nell’attuale legislazione italiana. In linea generale, si parla di contratto part time in tutti i casi in cui il contratto preveda un orario lavorativo settimanale inferiore alle canoniche 40 ore, e che tendenzialmente si aggira quindi tra le 20 e le 30 ore. Bisogna sottolineare fin da subito che questo tipo di contratto può essere applicato in qualsiasi Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro. Così come per i normali contratti di lavoro, si può parlare di contratti a tempo determinato o indeterminato. Esiste, inoltre, un limite minimo di ore per le quali si può creare un contratto di lavoro: questa soglia è definita di volta in volta nei vari CCNL, ma si parla tendenzialmente di un limite minimo di 16 ore settimanali.
Molto probabilmente avrai già sentito parlare dei contratti a tempo parziale orizzontali, verticali o misti. La differenza è molto semplice. Un contratto orizzontale prevede che la riduzione delle ore lavorative avvenga sulle ore giornaliere: tipicamente un contratto orizzontale prevede 4 ore di lavoro al giorno. Il contratto verticale, invece, prevede che la riduzione delle ore sia su base settimane o mensile. In generale, si parla della prima ipotesi. Un lavoratore part time con contratto verticale, per esempio, potrebbe lavorare 8 ore il lunedì, il martedì e il mercoledì, per poi restare a casa il resto della settimana. Come si può intuire, il sistema misto prevede una commistione dei due sistemi precedenti.
Ci sono altri importanti aspetti da ricordare. Il lavoro straordinario può essere effettuato solo in caso di contratto verticale o misto, mentre non può essere preso in considerazione nel caso di contratti orizzontali. Per quanto riguarda la retribuzione, in linea di massima il lavoratore part time riceve una retribuzione calcolata in modo analogo a quella del lavoratore full time, con una retribuzione oraria del tutto uguale, e in ogni caso regolata – per quanto riguarda la retribuzione oraria minima – dal CCNL di riferimento.
Come abbiamo visto in apertura, i numeri dimostrano senza ombra di dubbio una crescita dei lavoratori a tempo ridotto, e soprattutto delle persone che, pur desiderando un’occupazione full time, si vedono assegnare un contratto a tempo parziale. Questo sembrerebbe suggerire il fatto che, per le aziende, i contratti part time siano più convenienti. In realtà, non è esattamente così, per delle ragioni relative alla produttività e al costo del lavoro.
Molti studi dimostrano per esempio che la produttività dei lavoratori a tempo parziale è, in media, inferiore a quella dei lavoratori full time. Questa ridotta produttività sarebbe riconducibile a diversi fattori. Tra questi, quelli che vengono chiamati “startup costs”, a indicare il tempo che viene perso al mattino prima di iniziare a lavorare davvero, tempo che, nel caso dei lavoratori par time orizzontali, avrebbe ovviamente una maggiore incisività. Ma ci sono altri costi che, con il part time, sono destinati a lievitare per l’azienda: si parla di costi fissi come la formazione, o come i costi relativi alla ricerca e selezione del personale .
Uno studio di recente pubblicazione (The Impact of Part-Time Work on Firm Total Factor Productivity: Evidence from Italy ) condotto presso l’Università di Torino dimostra che l’utilizzo del lavoro a tempo parziale è associato a una significativa riduzione della produttività: un aumento del 10% della quota part time, per esempio, porta a una diminuzione della produttività aziendale dell’1,45 %. Per rimettere in bilancia costi e produttività sarebbe dunque necessario ritoccare i salari, i quali però come è noto, nella maggiore parte dei casi, non possono essere modificati verso il basso dalle aziende; queste modifiche, peraltro, non farebbero che peggiorare ulteriormente la situazione dei lavoratori con un orario ridotto pur aspirando a un full time.
Non bisogna però dimenticare che il part time rappresenta uno strumento fondamentale di conciliazione vita-lavoro, a partire da tutte quelle persone che non desiderano mettere in secondo piano la famiglia per il lavoro. Vale la pena ricordare quelli che sono i principali vantaggi dei contratti part time per i lavoratori.
Abbiamo visto come per molti lavoratori il contratto a tempo parziale è una scelta obbligata, non desiderata e calata dall’alto. Per altre persone, invece, è un traguardo al quale ambire. Per quali ragioni? Vediamole:
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